Pratiche e rituali funerari dalla preistoria ad epoca moderna

La crescente complessità e stratificazione di ordine temporale, in relazione alle diverse nicchie ecologiche occupate dall’uomo (ambiente/clima/cibo), richiede attenzione nell’interpretazione dei contesti del passato, e in particolare di quelli funerari. Il rapporto tra l’uomo e la morte è infatti cambiato nel tempo e, mentre per le epoche protostoriche e storiche la presenza di documenti scritti amplia la possibilità di interpretare i rinvenimenti archeologici, fornendo un quadro culturale di riferimento nel quale ricercare informazioni sulla concezione della morte, nella preistoria, soprattutto prima che i contesti funerari siano chiaramente riconoscibili con la comparsa delle prime sepolture (intorno a 200 Ka fa), la documentazione disponibile è costituita essenzialmente dai resti scheletrici umani.

Il loro studio antropologico e bioarcheologico in questo contesto assume particolare rilevanza sia in un’ottica paleoepidemiologica - che tenga quindi conto del profilo biologico (età alla morte, sesso) dei resti esaminati - sia per la possibilità di fornire dati su interventi intenzionalmente praticati peri mortem o post mortem (smembramento, scarnificazione, accumulo di ossa, ecc.) in un contesto funerario.

Lo studio di specifici marcatori scheletrici, quali quelli relativi ad esiti di lesività peri mortale e post mortale, e dello stato di conservazione dei resti scheletrici umani consente di risalire ad eventi casuali vs. intenzionali e, nel caso di questi ultimi, ad eventuali attività di trattamento del cadavere o dello scheletro in ambito funerario.

Oltre ai dati, ove presenti e recuperabili, del contesto di rinvenimento (assenza di evidenze di sepoltura vs. sepoltura, inumazione vs. cremazione, sepoltura primaria vs. secondaria, posizione dell’inumato, presenza di uno o più scheletri o parti di scheletro nella stessa sepoltura, ecc.) è di fondamentale importanza lo studio dello stato di conservazione e l’analisi di marcatori scheletrici di esiti traumatici (cutmarks, chopmarks, ecc.), le cui caratteristiche e distribuzione possono dare informazioni su interventi intenzionali effettuati peri mortem - sul cadavere - o post mortem - sul cadavere o sullo scheletro, in relazione al tempo intercorso dalla morte e all’ambiente di decomposizione.

Gli studi vengono condotti sia per l’epoca preistorica sia per quella storica attraverso lo studio di marcatori ossei di lesività attraverso indagini di microscopia elettronica a scansione (SEM) e con metodi radiografici e tomografici e di ricostruzione 3D. Di particolare interesse si sono rivelati gli studi sulla necropoli del Paleolitico superiore della grotta di Taforalt (15 Ka BP, Marocco) e su reperti Neolitici del territorio italiano (Fornace Cappuccini, Faenza; Passo di Corvo, Foggia) in cui vi sono evidenze di articolati e complessi interventi peri mortem (sacrificio umano? cannibalismo?) e successivi alla morte.  

Per le epoche storiche lo studio antropologico di resti inumati rinvenuti in sepolture definite ‘anomale’ (scheletri proni, con esiti di mutilazioni e asportazione di parti del copro o dello scheletro, con infissione di chiodi, accumuli di crani, ecc.) in necropoli di epoca romana del territorio emiliano hanno messo in luce una ritualità funeraria non convenzionale, non sancita nelle norme e nelle prescrizioni della religione ufficiale. I nostri studi hanno consentito di individuare e promuovere a livello nazionale un nuovo filone di ricerca, quello delle cosiddette  “sepolture anomale”.

Attraverso questi studi è possibile fare luce, rispetto a quanto noto e per ampi contesti geografici e temporali caratterizzati da nicchie ecologiche diverse, sulla comparsa di comportamenti che possono apparire del tutto inediti nonché anomali, in quanto non codificati ed estranei ai sistemi socio-culturali di riferimento. Alcune pratiche segnalate per la lontana preistoria si ritrovano infatti anche in epoche successive e in ambiti anche molto diversi.

Dal punto di vista metodologico la documentazione relativa ai resti scheletrici umani assume pari rilevanza rispetto a quella di altre discipline (e.g. etnologiche e storiche) contribuendo a fornire modelli e confronti per l’interpretazione dei contesti archeologici.

L’approccio antropologico e paleoepidemiologico mette in evidenza la necessità di una definizione di normalità vs anormalità nei contesti funerari e quindi una ridefinizione in chiave evolutiva più generale del rapporto tra l’uomo e l’ambiente.

Partecipa alle ricerche:
Valentina Mariotti (PhD in Antropologia, UNIBO),  Annalisa Pietrobelli  (Dottoranda  I anno,  35° ciclo Dottorato di Ricerca in Scienze della Terra, della Vita e dell’Ambiente, UNIBO).

Per collaborazioni nazionali e internazionali consultare il sito della prof.ssa Maria Giovanna Belcastro