In una rassegna recentemente pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Sustainability, un gruppo internazionale di esperti mondiali di ambienti costieri, tra i quali due professori italiani delle università di Bologna e di Modena-Reggio Emilia, ripercorre il ruolo fondamentale che i delta fluviali hanno avuto per lo sviluppo socio-economico degli ultimi 7.000 anni e ammonisce sulle tragiche conseguenze che la crisi climatica potrà determinare sull’evoluzione futura di aree così fragili e complesse. Dalla nascita delle prime città-stato in Mesopotamia e sul delta del Fiume Nilo fino all’Antropocene (gli ultimi 75 anni, in cui l’Uomo è diventato il principale agente di modifica del Sistema Terra), lo studio rivela come la crescita naturale dei sistemi deltizi — alimentata dai sedimenti fluviali — abbia accompagnato i progressi dell'umanità in Asia e nell’area mediterranea. I delta hanno stimolato innovazioni nella gestione delle acque, nel controllo della subsidenza e nella mitigazione dell’erosione, creando una profonda interdipendenza socio-ecologica tra la civiltà umana e l’evoluzione di questi ambienti.
L’aumento della pressione antropica e dell’uso del suolo nelle aree costiere nel corso degli ultimi decenni, connesso alla crescita esponenziale della popolazione e allo sviluppo in molte di queste regioni di vere e proprie megalopoli, ha tuttavia reso i delta sempre più vulnerabili, ponendo una seria minaccia alla loro sopravvivenza. Il riscaldamento globale ha esacerbato la crisi dei sistemi fluviali e deltizi anche in Italia, moltiplicando da un lato i periodi di siccità prolungata e intensificando dall’altro l’occorrenza di eventi meteo estremi, contraddistinti da piene fluviali devastanti. I delta italiani, primo fra tutti il Delta del Po, subiscono infatti un duplice effetto: da una parte, la diminuzione delle precipitazioni e l'aumento delle temperature riducono l'apporto di acque dolci, con conseguenze critiche sulla disponibilità idrica per l'agricoltura e per l'approvvigionamento urbano. D'altro canto, l'innalzamento del livello del mare, accelerato dalla fusione delle calotte glaciali, e la riduzione delle portate idriche facilitano l'intrusione del cuneo salino nei corsi d'acqua e nel sottosuolo delle regioni costiere, trasformando i terreni fertili in suoli salinizzati sempre meno produttivi, con impatti devastanti sull'agricoltura e sulla biodiversità.
Lo studio evidenzia le sfide cruciali che i delta dovranno affrontare in termini di governance, gestione e pianificazione, e sottolinea l’importanza di nuove tecnologie e strategie per affrontare questi problemi. Per garantirne lo sviluppo sostenibile, i delta del pianeta dovranno essere in grado di fronteggiare l’innalzamento del livello del mare causato dal riscaldamento globale e la riduzione negli apporti di sedimenti, trattenuti a monte dalle dighe. Al di là delle possibili soluzioni locali e momentanee, lo studio sottolinea come, in assenza di una stabilizzazione climatica, sarà estremamente difficile preservare i sistemi deltizi e gli ecosistemi ad essi associati. In scenari di estremo innalzamento del livello del mare (due metri o più nei prossimi due secoli), i delta rischiano di finire progressivamente sommersi, rendendo insostenibile lo stesso sviluppo economico e addirittura impossibile la presenza umana in queste aree. Se non si adotteranno tempestivamente misure definitive per la riduzione delle emissioni di CO₂ e strategie di mitigazione efficaci a tutela dei sistemi deltizi, il futuro delle aree soggette a progressiva sommersione potrà essere caratterizzato dall’abbandono delle terre e da migrazioni di popoli su larga scala verso regioni più ospitali, nell’entroterra. Questo scenario, che in alcuni Delta (come, ad esempio, il Mississippi) si prefigura come una realtà oramai ineluttabile, rischia di segnare la fine della millenaria interazione tra società umane e ambienti deltizi, compromettendo irreversibilmente i benefici ecosistemici e socio-economici che questi territori hanno storicamente offerto all’umanità.